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BELLADONNA

MT  Fo, Fr, Ra, Se, Pi,
Nome botanico: Atropa belladonna
Famiglia: Solanaceae
Nomi comuni: Belladonna, uva lupina
Distribuzione: tutta italia 

Sinonimi: Atropa belladonna ssp. gallica, Atropa belladonna ssp. grandiflora, Atropa lethalis, Atropa lutescens, Atropa minor, Atropa pallida, Belladonna baccifera, Belladonna trichotoma.  

Descrizione botanica e habitat:
Pianta erbacea perenne alta 50-150 cm; fusto più o meno ramificato, in cima coperto da peluria densa, corta e fine; foglie ovali, brevemente decorrenti, opposte nella parte occupata dell'infiorescenza; fiori solitari, ascellari, con corolla bruno-violacea; frutto come bacca nera, lucente; semi molto piccoli, reniformi.
Fiorisce da giugno a settembre. Cresce in luoghi disboscati, presso sentieri, al margine di boschi e siepi e in prossimità di vecchi fabbricati (0-1400m). Da piuttosto rara a quasi comune.


Dati etnobotanici:
Il nome botanico deriva da quello di una della Parche o dee del destino. Atropos ("spietata", "inesorabile"), che tagliava il filo della vita, e dal fatto che probabilmente era utilizzata dalle donne italiane per dilatare le pupille e intensificare la bellezza del volto. Forse, l'origine del nome "belladonna" è più antica e avrebbe una diversa etimologia, che richiama l'idea di "donna" come "signora" o "padrona". Per esempio in Romania, colui che raccoglie la belladonna deve seguire un rituale specifico, chiamandola "grande signora", "buona Signora", "Signora della foresta", "Imperatrice", "Imperatrice delle erbe". In Europa a questa pianta sono legate diverse leggende che potrebbero rimandare a un suo antico culto. Una di esse racconta che è custodita ogni notte dal diavolo, il quale si allontana solo nella notte del Valpurga (vigilia del 1 maggio) quando si reca al sabba sul picco del Brocken delle montagne dell'Harz, in Germania. In quella notte, la pianta si trasforma in una bella e mortale incantatrice. Si tratterebbe in definitiva di una pianta legata alla figura della signora delle foreste e del mondo vegetale in generale e ad un gruppo di di esseri magici femminili in relazione con la morte e con pratiche divinatorie e curative, poi assimilabili alla strega. Considerando questi elementi, si potrebbe dire che nella belladonna si manifesta uno spirito femminile della natura, una seducente tentatrice; una certa sensazione di essere posseduti da qualche identità è uno degli effetti delle solanaceae psicoattive. Inoltre, l'azione afrodisiaca si può interpretare come la manifestazione del potere dello spirito della pianta nel risvegliare l'istinto sessuale e intensificare l'esperienza erotica. Nell'Europa dell'est, per ottenere il favore di una vergine, l'uomo avrebbe dovuto scavare la radice della belladonna lasciando nel buco alcune offerte allo spirito della pianta, anche per procurare buona fortuna nelle faccende amorose in generale. 
In Ungheria, la radice si raccoglie scavandola nudi nella notte di San Giorgio, dando poi un'offerta di pane. In definitiva, per mezzo della belladonna sarebbe possibile entrare in contatto con forze archetipiche femminili. D'altra parte, l'associazione con entità ed energie femminili è comune a tutte le Solanaceae psicoattive.
Probabilmente, la belladonna era un attributo della dea della Cappadocia Ma/Bellona, relazionata con la Dea Madre e probabilmente venerata
orgiasticamente. Era anche una pianta delle streghe della Tessaglia, che
preparavano con essa una filtro amoroso, e si ritrovava nel giardino di
Ecate. 
Gli antichi Greci conoscevano le proprietà inebrianti della pianta e forse la addizionavano al vino per potenziarlo o per renderlo afrodisiaco. Lo strychnos manikos citato da Dioscoride potrebbe essere la belladonna, così come l'halicacabon citato da Plinio il Vecchio, identificabile anche con l'alchechengi comune o il solano sonnifero. Rispetto all' halicacabon, Plinio il Vecchio riporta che è soporifero e che può provocare la morte anche più rapidamente dell'oppio (dal papavero sonnifero, Papaver somniferum). La radice è presa in pozione da coloro che vogliono apparire posseduti da un dio, per rafforzare la credulità nelle loro divinazioni. L'abuso di un collutorio preparato con questa pianta causa delirio. Alcuni nomi popolari tedeschi della belladonna richiamano la figura del lupo e l'idea di furia, e per estensione quella di istinto animale, in accordo con il concetto di spirito della natura che dimorerebbe nella pianta. Il lupo era l'animale di Odino/Wotan e la furia una delle sue caratteristiche. Il fenomeno della licantropia potrebbe essere in relazione con l'illusione di essersi trasformati in un animale, sotto l'effetto della pianta. Odino era anche signore delle foreste e della caccia; ancora nel XIX secolo, i cacciatori del Sud della Germania mangiavano 3-4 bacche di belladonna prima di andare a caccia, in modo da acuire le percezioni. La belladonna era anche associata alle Valchirie, figlie di Odino ed Erda (il cielo e la terra). I frutti erano noti presso gli antichi Germani anche come "bacche delle Valchirie". L'effetto psicoattivo renderebbe manifesto un mondo differente, l'Altro Mondo, il regno dei morti. Si credeva infatti, che la belladonna aprisse le porte del Valhalla, la dimora dei morti dove risiedono gli eroi caduti in battaglia. Forse si addizionava anche all'dromele germanico, bevanda alcolica inebriante ottenuta dal miele fermentato, addizionata anche di specie psicoattive.
L'effetto delirante è stato sfruttato come una sorta di arma da guerra.
Infatti, nella guerra tra Scozzesi e Danesi nell'XI secolo, i primi adescarono
i secondi con una birra a cui era stato aggiunto il succo delle bacche di
belladonna, rendendo così i nemici incapaci di combattere.
Anticamente, la radice di belladonna era conosciuta o nominata come
radice di mandragora (Mandragora sp.) e si usava in sostituzione di que-
st'ultima o per falsificarla.
Fin dall'antichità, è stata una pianta demonizzata e nota per i suoi usi
come veleno. La belladonna è forse la più importante pianta associata alla
stregoneria. Rientra tra i componenti delle preparazion
europee, soprattutto unguenti. Le bacche erano note come "bacche del
diavolo" e "ciliegie del diavolo" e la pianta come "pianta delle streghe"
Nel Medioevo, la belladonna si addizionava al vino. Nello stesso periodo nei paesi slavi si preparava una birra inebriante con i frutti o le foglie.
Nell'antico Oriente, con la belladonna si producevano bevande alcoliche (birra e vino di palma).
La belladonna si usava come componente di miscele per fumigazion come la miscela per radunare i demoni inferiori (XVI secolo) composta da radice di prezzemolo, semi di coriandolo, belladonna, radice di cicuta maggiore, oppio, sandalo bianco (Santalum album) e giusquiamo nero.
Un'altra ricetta per fumigazione a uso oracolare era composta da foglie di etusa (Aethusa sp.), apio (Apium sp.) o sio (Sium sp.), quercia (Quercus sp.), foglie e fiori di belladonna, foglie di verbena, menta selvatica (Mentha spp.) e vischio (Viscum album).
La belladonna si usava in miscele da fumare, come per esempio nel cosiddette "sigarette indiane" della fine dell'800 a scopo curativo, composte anche da giusquiamo nero, stramonio e canapa indiana, il tutto imbevuto in estratto di oppio e acqua di lauroceraso. Attualmente si fumano foglie o i frutti, anche in combinazione con agarico muscario (Amanita muscaria) e canapa indiana; quest'ultima rafforzerebbe l'effetto della belladonna.
Dalle bacche si distilla una bevanda alcoolica, mentre oggi la pianta si impiega in Marocco come stimolante mentale (fa anche parte di una miscela di spezie nota come Ras el Hanout) e afrodisiaco. Si dice anche che una piccola dose di belladonna rischiari l'intelletto e predisponga al lavoro intellettuale. Ancora oggi, in Marocco si prepara un the di bacche in acqua zuccherata per ottenere una "buona condizione Spirituale" e come afrodisiaco per il maschio.
Il miele prodotto da api che si sono nutrite del nettare dei fiori della
pianta contiene i principi attivi della pianta stessa e ha provocato intossicazioni a carattere psicoattivo. Fin dall'antichità, la belladonna era nota per le proprietà antidolorifiche e le bacche per l'effetto afrodisiaco. Si usava per cacciare i demoni, contro le malattie causate dagli spiriti (presso gli anti chi Assiri) e contro depressione e psicosi. Ildegarda di Bingen consigliava un unguento a base di succo di belladonna contro le ulcere, però, se mangiata o bevuta (succo), è pericolosa, perché causa "disordine dello spirito" e la persona sembra morta. La belladonna era uno dei componenti della spongia somnifera, una spugna imbevuta di un preparato narcotico, da utilizzare come anestetico nelle operazioni chirurgiche, nota fin dall'antichità. Tra i componenti troviamo anche canapa (C. indica, Cannabis sativa), cicuta maggiore, giusquiamo egiziano (Hyoseyamus muticus), giusquiamo nero, lattuga velenosa, man dragora e papavero sonnifero. In passato, il succo delle bacche era utilizzato come midriatico. Nel XIX secolo, l'estratto della radice e della pianta si usava contro itterizia, idropisia, tosse convulsiva, scarlattina, epilessia disturbi della vescica, delle vie respiratorie e dell'esofago, coliche renali malattie della pelle, infiammazioni oculari e malattie nervose. Fino agli anni 30 del '900, in commercio si trovavano sigarette a uso farmaceutico preparate con foglie di belladonna, imbevute in tintura d'oppio. In Nepal, la pianta ha funzione di sedativo. Nella fitoterapia moderna si usa per spasmi di intestino, ano, uretra, vagina e collo uterino, spasmi delle vie respiratorie (pertosse, asma nervosa e spasmi glottici), incontinenza urinaria notturna, priapismo, spermatorrea, scialorrea, galattorrea udore della tubercolosi, stipsi spasmodica, nevralgie, emicrania, ballo di san Vito e mal di mare. In omeopatia si usa anche la tintura madre preparata con la radice fresca e un'altra composizione, nota come Sulphur Pentarkar comprende belladonna, Myristica sebifera (Virola sebifera) zolto, mercurio e acido silicico. La dose medicinale a uso interno è rappresentata da 0,05-1 g di foglie secche polverizzate, mentre la tintura madre omeopatica della radice contiene 0.27-0,51 % di alcaloidi tropanici. All'inizio del secolo scorso, una specie australiana di Duboisia era un sostituto della belladonna come fonte della droga grezza. Altri sostituti usati nel passato erano costituiti da l'ailanto (foglie), giusquiamo egiziano (foglie), alchechengi comune (foglie), shang-lu (Phytolacca acinosa, fogle e radici), fitolacca americana (foglie e radici) e scopolia (foglie e radici).

Fitochimica:
Contiene principalmente alfa- e beta-lattucerolo, derivanti dall'acido caffeico, quali acido chlorogenico e acido 3,5-dicaffeoilchinico, e le saponine triterpeniche tragopogonoside A-I. La pianta può essere infestata dal fungo parassita Ustilago tragopogonis-pratensis a livello di semi fiori e frutti. Nel genere Ustilago troviamo spcie che possono causare intossicazioni note con il nome di ustilaginismo. L'ustilaginismo è caratterizzato da insonnia, dolori brucianti, problemi alla circolazione periferica e da una sindrome psicotonica con alta irritabilità simile all'ergotismo causato dall'ergot, ma meno grave e definita come "pseudo-ergotica"


Effetti:
Potrebbe essere inebriante. Si può supporre che l'effeto di alcaloidi dell'ergot, possibilmente metabolizzati da Ustilago tragopogonis-pratensis, si manifesti attraverso l'inalazione del fumo prodotto dalla combustione della pianta infestata. La presenza di tali alcaloidi spiegherebbe l'azione abortiva.



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